di Manuela Oliveri - A dieta da lunedì
Quelli tra voi che sono stati bambini negli anni ottanta devono aver visto almeno una volta il cartone animato di Doraemon. All’epoca era un must della TV dei ragazzi.
Doraemon è un grosso gattone blu, con la testa rotonda ed enorme, senza orecchie e viene dallo spazio. Vive in una tipica casa giapponese con un bambino di nome Nobita e con lui ha un sacco di avventure strampalate e ridicole. Perché Nobita è un gran pasticcione, pigro e imbranato, si caccia in un mare di guai insieme ai suoi amici nell’intento di far colpo su Shizuka di cui è innamorato.
Ad aiutarlo ci pensa Doraemon, che da una tasca sulla sua pancia tira fuori ogni sorta di marchingegni strani che fanno volare o rendono invisibili o addirittura fanno viaggiare nel tempo. Solo che di solito le cose prendono pieghe inaspettate, anche se poi tutto finisce bene.
Perché vi racconto questo?
Perché in ogni puntata questo gattone e il suo amico fanno scorpacciate di strani panini dolci.
Ripieni di una non ben precisata crema. Che la mamma di Nobita riceve addirittura per posta.
Sono i Dorayaki.
Qualcuno farebbe derivare da questi dolci proprio il nome del gattone, anche se forse più correttamente Doraemon deriva da doraneko che significa “gatto vagabondo”. Comunque sia ormai sono diventati famosi anche da noi proprio grazie al goloso felino. Sono tipici della tradizione Giapponese e si trovano per lo più in piccoli negozi o pasticcerie che li preparano quasi esclusivamente. Sono un po’ uno street food. Nella cucina giapponese non ci sono molti dolci, almeno non la grande varietà e opulenza che abbiamo noi europei e quelli che ci sono non vengono quasi mai preparati in casa ma acquistati nei negozi. Pare che fino a qualche anno fa nelle cucine delle case giapponesi non ci fosse nemmeno il forno.
Per cui non bisogna pensare a dolci come le nostre torte, pasticcini, biscotti o brioche. O a tutti quei golosi e ricchi dessert che finiscono in bellezza i nostri pranzi. Anzi in Giappone i dolci non vengono quasi mai serviti a fine pasto, ma consumati come merenda, nei banchetti delle feste religiose o piuttosto durante la cerimonia del tè.
Sono per lo più piccoli dolcetti leggeri ed eterei, dalle fogge fantasiose ed elaborate, oppure creme o gelatine dal gusto delicato. Tutti molto semplici ma raffinati.
Gli ingredienti principali sono zucchero, farina di riso glutinoso (Shiratama-ko), fecola di patate, agar agar (o Kanten), patate dolci e l’Anko, la marmellata di fagioli azuki rossi.
I dorayaki sono quanto si avvicina di più alla nostra concezione di dolce, sono infatti una sorta di pancake gonfi e asciutti, dalla consistenza più simile al nostro Pan di Spagna o pasta biscuit. Fatti semplicemente con un impasto farina, zucchero e uova. Vengono accoppiati due a due e ripieni della onnipresente Anko.
In origine avevano un solo strato sormontato dalla confettura Anko, furono accoppiati nella forma attuale nel 1914 nel negozio di Ueno Usagya a Tokyo, ancora oggi considerato il migliore del Giappone.
Il loro nome deriva dal vocabolo “dora” che significa gong, forse per la tipica forma tonda e bombata. Una leggenda vuole che un samurai dimenticò il suo gong a casa di un contadino presso cui si nascondeva e che questi lo uso per cuocere un dolce, il primo dorayaki appunto.
Tradizionalmente sono farciti con marmellata Anko nella versione Tsubu an, quella più grossolana e soda dove ci sono ancora pezzetti di fagiolo ben visibili. Ma si può anche utilizzare la Koshi an, quella più fine e cremosa, che viene frullata o passata al passaverdure.
In Giappone a volte si usa la confettura di azuki verdi, Name an, o quella di fagioli bianchi o confettura di castagne, persino con il cioccolato, ma la tradizione vuole la Anko.
Io vi assicuro però che sono altrettanto buoni con della crema al cioccolato, tipo una pasticcera, una ganache morbida o più semplicemente con della crema spalmabile alla nocciola.
Ma si può usare qualsiasi confettura di frutta. Per esempio io li ho trovati favolosi con una crema ottenuta mescolando della confettura di frutti di bosco e del formaggio fresco spalmabile.
La ricetta dei dorayaki è molto semplice, come ho detto sono un po’ simili a pancake o crespelle spesse. La differenza sostanziale è che l’impasto non contiene latte, perciò se si utilizza una semplice confettura di frutta diventano un’ottima merenda per gli intolleranti al lattosio.
Altra caratteristica principale è che un lato di queste crespelle, quello che poi rimane all’esterno, è liscio e ben brunito, mentre l’altro rimane spugnoso e pieno di buchetti, dorato solo leggermente. Pare che in origine fossero cotti solo da una parte, mentre l’altra rimaneva bianca.
Per i dorayaki.
- 2 uova medie
- 100g farina 00
- 50g zucchero semolato
- 2 cucchiai di acqua fredda
- 1 cucchiaio di miele (meglio se d’acacia perché più delicato e fluido)*
- ½ cucchiaino di lievito per dolci**
*io ne ho messo solo ½ cucchiaio ma solo perché noi non amiamo molto il miele. Confesso che ho provato a farli anche con lo sciroppo d’acero che non è assolutamente ortodosso, ma il risultato è ottimo lo stesso.
**in qualche ricetta ho trovato il bicarbonato al posto del lievito, io trovo che lasci un vago retrogusto amaro quindi preferisco il lievito per dolci, fate voi.
Battete bene le uova con lo zucchero con una frusta. Unire la farina e il lievito setacciati e mescolate delicatamente per non far grumi. Infine incorporate il miele e due cucchiai di acqua.
Dovete ottenere una pastella liscia e morbida ma piuttosto soda, più soda di quella delle crespelle.
Scaldate una padella antiaderente a fondo spesso, piatto e liscio così non occorre nemmeno ungerla. Ideale quella per le crêpes.
Quando la padella è calda ma non rovente, fate cadere la pastella con un cucchiaio o un mestolino e allargatela formando un cerchio spesso 3-4mm.
Fate cuocere a fuoco medio-basso finchè la superficie si gonfia creando delle bolle che scoppieranno formando dei piccoli buchetti. Quando la parte inferiore avrà preso un bel colore nocciola e la superficie si è praticamente asciugata, voltate la crespella e fatela leggermente dorare anche dall'altra parte, ma solo per pochi secondi.
Prelevate la crespella e continuate fino ad esaurire la pastella.
Non usate il fornello troppo alto perché altrimenti rischiano di colorarsi troppo in fretta a un lato ed essere ancora molli in superficie. Se succede piuttosto lasciateli cuocere bene anche dall’altra parte.
La misura classica dei dorayaki è di circa 10-12cm di diametro, nel versare la pasta sulla padella considerate che in cottura tendono a crescere. Io ne ho fatti di varie misure, qualcuno anche molto piccolo, quasi da boccone.
Naturalmente cercate di fare questi pancake in numero pari perché poi devono essere accoppiati.
Se avete la padella ampia o se li fate un po’ più piccoli, consiglio di farne cuocere due alla volta in modo da avere sotto controllo la dimensione e avere praticamente le coppie pronte da farcire.
Una volta preparate queste crespelle soffici farcitele generosamente di confettura e buona
merenda.
Per la confettura Anko.
Ingredienti per circa 300g di confettura:
- 100g fagioli azuki rossi secchi
- 100g zucchero.
Sciacquate bene i fagioli in acqua corrente, lasciateli in ammollo dalle 6 alle 12 ore in acqua fredda. Scolateli e metteteli in una pentola ben coperti d’acqua fredda, portate a bollore e appena si forma la schiuma in superficie scolateli. Ripetete questa operazione per altre 2-3 volte, in questo modo si elimina il sapore allappante dei fagioli, in giapponese questo si dice “shibunuki ”.
A questo punto rimetteteli nella pentola con il doppio del loro volume di acqua. Portate ad ebollizione, poi abbassate il fuoco e fate cuocere mescolando di tanto in tanto finchè i fagioli sono molto morbidi e iniziano a disfarsi e l’acqua è quasi completamente assorbita, ci vogliono circa un paio d’ore. Se l’acqua si dovesse asciugare troppo in fretta unitene altra poca alla volta e ben calda.
A questo punto unite lo zucchero e fatelo sciogliere completamente mescolando bene. Cuocete ancora circa 10 minuti e lasciate asciugare bene la confettura.
Otterrete un composto granuloso e compatto, con ancora qualche pezzo di fagiolo visibile.
Questa è la versione detta Tsubu an, che è il tipico ripieno per i dorayai.
Se invece la frullate o la passate al passaverdura otterrete una crema piuttosto fine e omogenea, tipo la confettura di castagne, che oltretutto ricorda per colore e sapore, questa si chiama Koshi an.
Con i fagioli azuki verdi si ottiene invece la Name an, che si prepara esattamente allo stesso modo. Trovo è però che questi abbiano un gusto più dolciastro degli altri e consiglio di diminuire la dose di zucchero. Ma è solo un mio gusto personale. Voi provate.
Con i fagioli bianchi, normali fagioli bianchi, si ottiene invece la confettura detta Shiro an, ma non ho mai provato a farla, per cui non so proprio come può essere.
Fonti:
Wikipedia
www.corriereasia.com
www.italianjapan.net
www.tradurreilgiappone.com