di Acquaviva-acquavivascorre
La cucina di montagna è da sempre una cucina di sussistenza basata su pochissimi ingredienti base, di cui il pane, quello duro e spesso di farine miste, è uno dei protagonisti principali insieme a patate, cavoli, fagioli, polenta, erbe selvatiche, latticini e rarissima carne. La si chiama di solito “cucina povera” ma si tratta di una definizione poco adatta ad una vera e propria cultura gastronomica sfaccettatissima, che da pochi ingredienti è sempre riuscita a ricavare piatti fantasiosi, squisiti e dai sapori molto differenti tra loro.
Le popolazioni alpine hanno tradizionalmente vissuto di lavori molto umili e faticosi, con contatti difficili rispetto a popolazioni esterne alle comunità di vallata. Nelle valli nascoste e nei paesini arroccati sulle Alpi esistono dunque ancora oggi una decina di minoranze linguistiche, in parte ufficialmente riconosciute ed in parte no, testimoni di antiche ed appassionate culture locali, che tramandano le proprie tradizioni anche attraverso un personalissimo stile gastronomico, per lo più sconosciuto al di fuori dei confini regionali e per niente “povero” anche se costituito di elementi semplici.
Tra le persone mantengono le tradizioni culinarie di origine e parlano le proprie antiche lingue, come l’Occitano in Piemonte, il Francoprovenzale tra Piemonte e Val d’Aosta, il Sudtirolese e il Ladino nelle vallate dolomitiche, il Mòcheno in Trentino, il Cimbro tra Trentino e Veneto, il Carinziano tra Veneto e Friuli, il Furlan in Friuli e lo Sloveno nella Venezia Giulia e sul Carso, si contano in tutto oltre un milione di Italiani che utilizzano il pane in modo originale per creare pietanze fondamentali nella loro alimentazione quotidiana. E delle cui ricette in pratica il resto del Paese non sa quasi nulla.
A volte nelle zone più raggiunte dal turismo qualche piatto ha acquisito notorietà anche fuori dal proprio bacino culturale, come la fonduta (dadini di pane intinti in una crema di formaggio fuso) definita valdostana tout court senza entrare nelle varianti delle minoranze, oppure i canederli (gli gnocchi di pane protagonisti del nostro MTC), che contano solo in zona almeno una trentina di variazioni “classiche”.
Ma altrettanto golose e degne di nota sono le ricette rimaste sconosciute, i cui nomi per i “non alpini” sembrano per la maggior parte misteriosi, a volte dal suono vagamente francese, a volte tedesco. Per rimanere in Val d’Aosta, ad esempio, pensando ad un abbinamento di pane e formaggio si potrebbe gustare la seupa à la Valpellinentze, zuppa francoprovenzale della Valpelline costituita da pane nero a strati con verza stufata nel burro, fontina e brodo, oppure la seupetta de Cogne, dove il pane dorato nel burro e coperto di brodo si alterna a strati di Fontina e riso (ingrediente per niente valdostano ma legato agli scambi commerciali dei minatori locali con la Pianura Padana).
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seupeta de Cogne |
Una loro collega è la panade carnica, zuppa di pane raffermo cotto in acqua e alloro ed insaporito con Montasio o burro, come pure la Vinschger Brotsuppe e la Terlaner Weinsuppe sudtirolesi, una con pane, carne lessa e uovo crudo, l’altra di pane, vino, panna e uova. E anche la Walisschuppa della tradizione Walser, strati di pane nero, formaggio, brodo e cipolle soffritte con pancetta.
Ma esistono anche piatti “parenti” dei citati canederli, come gli gnocchi Walser di pane: le raviole alagnesi sono infatti preparate con pane ammollato, farina gialla e burro, farcite di salumi o formaggi, lessate in brodo o latte e servite con burro fuso. Altri gnocchi? Gli strangolapreti di Moena, ricetta ladina a base di pane e ortiche o spinaci, o anche i gnoch da zigher di La Val, sempre ladini, insaporiti con il tipico formaggio fatto in casa.
Qualche nome francesizzante, si diceva, per vicinanza e scambi commerciali delle popolazioni delle Alpi Occidentali con la Francia, e poi nomi di suono germanico, e qui giocano anche altri fattori… Molte popolazioni d’oltralpe migrarono infatti a sud nel XII e XIII secolo, sia per un periodo di clima mite che fece ritirare o sciogliere alcuni ghiacciai aprendo passaggi prima bloccati dai ghiacci perenni, sia per le condizioni politiche e demografiche difficili dei Paesi d’origine.
Ed ecco che lingue di origine germanica vengono parlate correntemente in Italia: dai Walser, che dal Vallese svizzero si spostarono a Gressoney e nelle Alpi piemontesi, dai Cimbri che passarono dalla Baviera al Veneto, dai Mocheni che scesero dal Tirolo in Trentino, dai Carinziani che si riversarono in Friuli.
Così nell’italiana Val Formazza del pane raffermo spezzettato e saltato nel burro insieme a delle uova in Walser si chiama Fogluspissed in lingua italiana è detto pasto degli uccelli. mentre per la Sasaka (o Zaseka) mit Harbm Schott della Val Canale carnica si spalmano su pane nero o crostini al burro la tipica ricotta acida ed un pesto di lardo affumicato. La ricetta del pane perduto invece, a nome italiano ma di origine cimbra, sugli altipiani del Veneto salta nel burro del pane ammollato con Asiago, paprika e erbe o, in versione dolce, con formaggio e zucchero.
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Sasaka mit Harbm Schott |
E questo ci da estro per aprire il golosissimo capitolo dei dolci alpini a base di pane: chi non assaggerebbe più che volentieri una torta di pane e mele come la glara occitana o la Scheiterhaufen ladina, oppure la Turt va Proat, torta mochena di pane, uvetta e cannella? Ma anche la frittata dolce di pane e uvetta sudtirolese detta Brotshmarrn o il pane indorato della Carnia, fritto nello strutto e guarnito con sciroppo di vino…
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glara |
L’apoteosi della fantasia nella gastronomia alpina a base di pane riciclato credo possa essere un piatto di lontane origini medievali, quando si chiamava pistume ed era considerato un dolce. Oggi in Friuli si serve a Pasqua e nei banchetti nuziali della tradizione carnica, a volte come dessert a volte come piatto in sé. Il pistùm è un piatto di gnocchetti cilindrici per cui si mescolano pane vecchio, burro soffritto con erbe aromatiche (e a volte anche cipolle), uova, uva passa, pinoli, cedro candito, zucchero e cannella, si forma poi un cilindro e si taglia a tocchetti.
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pistum |
A seconda che lo si consideri un piatto unico o un dolce, gli gnocchi si cuociono in un brodo salato, che ora in genere è vegetale con molte erbe profumate ma che la tradizione vuole di cotechino o di maiale grasso. Si servono poi scolati, con una leggera spolverata di zucchero a velo, oppure, più di recente, con crema dolce. Versione antica o moderna, alleggeriti di grassi oppure ricchissimi, molto aromatici o dai sapori delicati, parenti o meno dei canederli del nostro MTC… chi ha comunque il coraggio di parlare di “cucina povera”?!
Acquaviva
Bibliografia:
- Wolftraud De Concini, Le minoranze in pentola. Storia e gastronomia delle 10 minoranze linguistiche delle Alpi italiane, Daniela Piazza, 1997, ISBN 88-7889-061-8
- Chiara Scudelotti (cura), Dalle valli e dalla tradizione: ricettario montanaro rubato in malghe, baite, rifugi e masi, Del Baldo, II ediz. 2011, ISBN 88-63633-280
Le foto sono prese:
Cucina di malga: qui
Seupeta de Cogne da qui
Raviole di Alagna da qui
Sasaka da qui
Glara da qui
Pistum da qui