Dici biscotto e tutti si illuminano. Il biscotto è per antonomasia una piccola dolcezza, una ricompensa, una coccola da tenere tra le dita. E, al tempo stesso, l’apoteosi del superfluo. Chi mai ha mangiato un biscotto per fame?
Eppure, al principio non era così. I progenitori dei nostri dolci biscottini, infatti, erano molto meno gustosi e ben più necessari alla dieta quotidiana. Nell’antica Roma, il biscoctus era il pane cotto due volte (prima intero, poi tagliato a fette e rinfornato) che costituiva il cibo dei soldati: un nutrimento economico, energetico e non deperibile. I romani lo chiamavano anche panis nauticus, perché i marinai se lo portavano dietro nei lunghi viaggi di mare, assieme alle gallette. Anche queste erano semplici pani secchi ma cotti una sola volta, più a lungo e a temperature più basse.
A testimonianza di questa funzione originaria c'è il detto, riportato anche da Boccaccio: mettersi in mare senza biscotto,cioè intraprendere un viaggio senza l'adeguata preparazione. Per definizione, il biscotto è qualcosa di duro e croccante; non a caso si dice ammorbidire il biscotto, intendendo appianare una difficoltà, e anche direbbe che il biscotto non avesse crosta, riferito a chi vuole negare l’evidenza.
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Casa del fornaio, Pompei, I d.C |
Nell'antica Roma esistevano, sì, anche impasti dolcificati con miele e frutta secca o disidrata, che il pistor dulciarius infornava quotidianamente nella sua bottega, ma erano in genere piccole focacce o dolci di sfoglia ripiena, che poco avevano a che vedere con l’attuale la pasticceria secca dei nostri giorni.
Nel medioevo, i principali centri di potere e ricchezza erano i monasteri e, tra una preghiera e l’altra, vi venivano prodotte prelibatezze che non definiremmo certo di prima necessità: vini dolci, birra, liquori, dolcetti e biscotti. Le vie per avvicinarsi all’Altissimo, evidentemente, sono infinite. Non a caso, l’invenzione di moltissimi biscotti oggi entrati nella tradizione (come i quaresimali, i ricciarelli, i berlingozzi, i morselletti…) viene fatta risalire proprio a vari conventi e monasteri: che si tratti di verità o leggenda, non è dato sapere.
Con il passare dei secoli, le bontà appannaggio dei religiosi (che avevano anche più facile accesso allo zucchero, merce che a lungo fu molto rara e costosa) si diffusero anche nei forni artigianali, portando con sè vivaci liti tra la corporazione dei Pasticcieri e quella dei Panettieri per stabilire chi dovesse averne il monopolio.
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Immagine da qui |
Ovviamente si trattava di prelibatezze destinate ai ceti abbienti; i poveri stavano a guardare, oppure si accontentavano di dolci preparati in casa e molto più semplici. Consideriate che ancora nel 1850, un chilo di biscotti costava più di una giornata di salario operaio. E se ai bambini ne venivano offerti, spesso era solo perché si trattava di biscotti medicinali, usati per somministrare farmaci come purghe o vermifughi.
Che del biscotto non ci sia tanto da fidarsi, poi, lo dice anche l’espressione fare un biscotto, usata in ambito sportivo quando il risultato di una gara viene truccato. Forse deriva da un’espressione gergale dell’ippica, dove, (spero ormai molti anni fa) per non far vincere un cavallo favorito, gli veniva somministrato un biscotto inzuppato di sedativi. Insomma, quando vi offrono un biscotto, state in guardia.
I pranzi e i banchetti rinascimentali non potevano chiudersi senza una sfarzosa sfilata di dolci, tra i quali le fonti citano anche i biscotti, nell’accezione per noi comune, anche se la produzione di pan biscotto per soldati e marinai – ma non solo – continuerà fino ai giorni nostri, in una dicotomia tanto curiosa quanto distante nei suoi due termini.
Alla metà del XVII secolo, Vincenzo Tanara, nel suo L'economia del cittadino in villa, dopo aver parlato dell'origine del nostro biscotto dice: “esiste poi un altro tipo di biscotto, molto più delicato, che è il cosiddetto pan di Spagna. [...] Si cuoce a fuoco lento, si taglia a pezzi e si mette ancora in forno. Si serve cosparso di zucchero. [...] questi dolcetti sono conosciuti come biscottini o, meglio, biscotti alla savoiarda”. Un solo termine, quindi, per indicare due preparazioni ben diverse; non c’è da meravigliarsi che ancora oggi qualcuno faccia confusione tra i biscotti e la pasta biscotto (o biscuit, come si trova più spesso), usata per i rotoli farciti e molto più simile ad un pan di spagna. Non c’è fine alle complicazioni linguistiche!
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Immagine da qui |
Nuove tecniche di lavorazione, forni più efficienti, l’arrivo di cacao, spezie e aromi dal nuovo mondo portarono alla nascita di biscotti sempre nuovi, ognuno espressione di una zona precisa: i cantucci di Prato, le offelle di Parona (dal latino offa, piccola focaccia), i biscotti del Lagaccio in Liguria, gli zaleti in Friuli, le paste di meliga e i torcetti in Piemonte… Una varietà che sorprende ancora oggi.
Fino al XIX secolo i biscotti erano preparati nelle case o in piccoli laboratori artigianali, e rimanevano a disposizione di pochi. Fu la civilissima Inghilterra ad avviare per prima una produzione industriale, all’inizio del 1800: come a dire che il progresso di un popolo passa anche dalla democratizzazione dei piccoli piaceri.
Fu un panettiere di nome Edward che volle celebrare le glorie della marina inglese (in quegli anni impegnata contro Napoleone) brevettando dei biscotti ispirati alle gallette dei marinai, ma arricchiti di burro e zucchero: si chiamavano Albert.
Paradossalmente, i sistemi di produzione meccanizzati impiegati nel biscottificio erano i più avanzati di tutta l’industria e solo in seguito si diffusero in altri settori produttivi, anche non alimentari. Insomma, un biscotto all’avanguardia sotto tutti i punti di vista.
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Foto dal web |
Gli inglesi dominarono il mercato con i loro burrosissimi biscotti per molti anni, esportando in tutta Europa gioia e colesterolo. In Italia – i soliti ritardatari – la produzione industriale fu avviata solo nel 1888, quando Davide Lazzaroni acquistò in Inghilterra i macchinari necessari e trasformò in una vera industria la ditta familiare che già dal Settecento produceva i famosi amaretti di Saronno.
In pochi anni i biscottifici si diffusero in tutta la penisola e ogni italiano ebbe diritto alla propria, economica razione di biscotti, ma di certo la poesia dei biscotti prodotti a mano era andata perduta.
Fonti:
M. Krondl, Storia del dessert, Odoya 2011.
M. Montanari, F. Sabban, Storia e geografia dell’alimentazione, vol. 1, UTET 20014.
http://www.treccani.it/enciclopedia/biscotto_(Enciclopedia-Italiana)/