di Maria Grazia Viscito - Cooking Planner
Quando si parla di metodi di cottura della pasta, siamo tentati di pensare a uno e uno solo, ovvero far bollire una pentola piena di acqua, saliamo, salare,“buttare la pasta” (termine tutto nostro), aspettare il tempo canonico perché sia cotta, scolarle e buon appetito.
Con l’avvento della rete, i blog, gli chef, le manifestazioni, di cose sulle cottura della pasta ne sono state dette molte e quindi, causa sfida di questo mese che tanto si basa sui metodi di cottura, cerchiamo di fare un piccolo riassunto e di chiarirci insieme le idee.
Qualche anno fa, in seguito ad un intervento dello chef Elio Sironi ad Identità golose, venne alla ribalta un metodo di cottura chiamato “metodo passivo” che, in realtà di passivo non ha nulla. Perché
è un metodo con origini più antiche, che probabilmente ci siamo trovati più volte davanti senza saperlo e, considerando che è ripetibile più semplicemente a casa che non in un ristorante, vale la pena conoscerlo. Questo metodo, che dovrebbe essere chiamato più propriamente metodo Agnesi, è stato messo a punto da Vincenzo Agnesi (sì, quello della pasta) . Lui, Vincenzo Agnesi, ingegnere, nel 1929 prende l’eredità dell’azienda e, oltre a curare gli affari di famiglia, inventa questo metodo.
Il metodo agnesi consiste nel portare l’acqua a bollore, (ricordiamo con proporzione di 1 litro per 100 g di pasta per formati medio piccoli e fino a due l per 100 g di pasta per formati grandi), nel buttare la pasta, aspettare che riprenda il bollore e contare due minuti. Dopodiché, si spegne il fuoco, si copre con un coperchio o un canovaccio che copra anche i fianchi della pentola e si lascia lì la pasta fino a raggiungere i minuti indicati dal produttore.
Il vantaggio di questo metodo è che la pasta in questo modo subisce uno stress inferiore, disperde meno amido e glutine e mantiene più proprietà nutritive, con una perfetta cottura al dente. La dispersione di meno amido ci permette quindi di ottenere una pasta più adatta al condimento e con un indubbio risparmio energetico.
Questo metodo fu illustrato da Agnesi a Gualtiero Marchesi il quale ebbe il merito di farlo conoscere nel settore: per questo motivo dico che forse qualcuno di noi lo ha già assaggiato senza saperlo, considerando che Marchesi è colui che maggiormente ha influenzato la cucina italiana negli ultimi cinquanta anni.
Attenzione però: per applicare questo metodo bisogna partire sempre da paste eccellenti e pentole con il doppio fondo. Se il dubbio è “ ma come fa a cuocere la pasta a fuoco spento”, ricordiamo che la la temperatura cui cuoce la pasta 90° C (quella della gelificazione degli amidi): che l’acqua debba bollire, non l’ha ordinato il medico! O meglio, non è il bollore che garantisce la cottura della pasta ma la temperatura: a libello del mare l’acqua bolle a 100° ma in alta montagna per esempio, l’acqua bolle a temperature inferiori eppure cuociamo lo stesso la pasta.
Mentre alcuni chef sottolineano la difficoltà di utilizzare questo metodo per soddisfare la comanda, in casa è facilmente attuabile. E’ vero, si risparmia sul gas ma vi confesso che non è epr questo motivo che l’ho provato: è proprio per verificare le indicazioni date da Agnesi prima e da Marchesi poi, che parlavano di stress minore in cottura e quindi di un’ottima riuscita al dente; questo in un periodo in cui, come dice con una punta di amarezza Marchesi, non siamo più abituati a masticare ma vogliamo rendere tutto più semplice, facendo cotture che stracuociono, dal riso alla pasta.
Per la quantità di acqua necessaria, un chef come Gennaro Esposito raccomanda di non usare, come suggeriscono alcuni esperimenti americani (sempre all’insegna del risparmio, come se i dieci minuti di cottura della pasta potessero salvare il mondo), mezzo litro per mezzo kg di pasta, perché in così poco liquido ci sarebbe un accumulo di amido tale da rendere la pasta collosa, sfatta, gommosa e con una punta amarognola dovuta all’amido!
E allora, con la famosa risottaura della pasta, come la mettiamo? Be, questo è altro argomento